Nei suoi ultimi lavori Gabriele Bastianelli prosegue la personale ricerca artistica.
L’artista umbro nelle sue opere ci ha abituati ad una presenza significativa di oggetti di consumo, materiali di recupero, supporti non convenzionali, che egli da sempre predilige, nel rifiuto delle gerarchie tra oggetti d’arte e oggetti del quotidiano, per poter lavorare “tra arte e vita” secondo l’insegnamento di Robert Rauschenberg. In Bastianelli non è difficile scorgere la presenza di un’amara ironia declinata nei toni della della cultura pop, ma sotto a queste provocazioni a mo’ di slogan, frasi di canzoni, aforismi, fa capolino un sentimento più ossessivo e intimo, la sua inquietudine per la corrente dimensione storico-sociale, un nodo per l’artista assai conflittuale con cui sente di doversi misurare. Queste opere sono le sue pagine di diario, le sue confessioni. E così i toni sgargianti dei colori, o degli oggetti, assumono connotati drammatici, la serialità e ricchezza del segno diviene angosciante, i supporti feriti, lacerati. Forse è vero che “più il mondo diventa spaventoso, più l’arte diventa astratta” come scriveva Kandinskij, ma ‘astratto’ significa anche e soprattutto ordine, sottrazione, ritmo, e i suoi ultimi lavori contengono tutti questi elementi. Nonostante Bastianelli si definisca ‘teorico e pratico del disordine’, l’entropia sembra tutta riassorbita nelle grandi chiazze di colore che si specchiano simmetriche le une nelle altre con un accordo tale da ricordare l’altissima lezione di Alberto Burri, che l’artista, da umbro, porta nel proprio DNA.